Presidente: Christian Rossi, Università di Cagliari.
Discussant: Sofia Graziani, Università di Trento.
Relatori:
- Alessio Zuddas, Università di Cagliari, Il soft power britannico tra interessi economici e politici durante il mandato di Margaret Thatcher. Il ruolo del Foreign Office e della BBC nella politica dei media britannici e stranieri all’estero;
- Barbara Onnis, Università di Cagliari, Il soft power con ‘caratteristiche cinesi’ quale strumento di accrescimento potere globale della Cina;
- Francesca Congiu e Nicola Tedesco, Università di Cagliari, L’espansione globale dei mezzi di comunicazione della Repubblica Popolare Cinese. Il caso Kenya;
- Alessandro Uras, Università di Cagliari, Soft power e nuovi media. Nazionalismo e propaganda nella creazione di una identità marittima cinese;
Abstract
Il panel intende riportare gli esiti (in itinere) di una ricerca biennale finanziata dalla Fondazione di Sardegna dal titolo “Soft Power of the Press, Media and Internet over the International and Domestic policies of the States” (annualità 2017), che ha visto coinvolti numerosi componenti di diversi ambiti scientifico disciplinari del Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali dell’Università degli Studi di Cagliari.
La ricerca si inserisce nel campo di studio, oramai decennale, del dibattito sul soft power, parte integrante della diplomazia culturale, che è a sua volta una delle componenti chiave della diplomazia pubblica. Scopo principale della ricerca è di analizzare il ruolo della stampa, dei media e dei nuovi social media in generale, nella politica degli Stati e delle loro relazioni internazionali, la loro possibile influenza nei processi decisionali e nella percezione dell’opinione pubblica su questioni specifiche (immigrazione, Brexit, ruolo UE, percezione della RPC, tanto per citare alcuni esempi).Partendo da un approccio storico, a partire dalla politica di propaganda, un’attenzione particolare è stata dedicata all’attuale fenomeno delle fake news. Il fenomeno delle notizie falsate non è certamente nuovo, ma sicuramente le tecnologie odierne hanno contribuito ad amplificarne, in modo esplicito, sia la portata sia la diffusione. Un recente rapporto di Freedom House (ottobre 2018) sulla libertà nel web evidenzia come la diffusione delle fake news costituisca oggigiorno una delle principali modalità di influenza sull’opinione pubblica, in grado di determinare risultati elettorali, scelte economiche e sociali. Lo scandalo di Cambridge Analytica ha inoltre evidenziato come l’utilizzo dei dati privati, lasciati sul web dagli utenti, in maniera o meno consapevole, possa avere fini politici e commerciali.
La ricerca è stata condotta mediante l’utilizzo di casi studio in contesti molto diversi, a dimostrazione del fatto che il fenomeno non conosce confini, né di natura geografica né tantomeno di natura politico-ideologica. Un aspetto importante sul quale ci si è soffermati nell’analisi dei vari contesti è stato l’uso governativo dei dipartimenti/ministeri per l’informazione (in alcuni casi propaganda) dei diversi governi (due esempi per tutti, il Central Office of Information del Regno Unito; il Dipartimento della Propaganda della RPC).
L’articolazione del panel rispecchia l’articolazione della ricerca e prevede 8 interventi distribuiti di fatto su due panel.
Interventi
Alessio Zuddas: Il soft power britannico tra interessi economici e politici durante il mandato di Margaret Thatcher. Il ruolo del Foreign Office e della BBC nella politica dei media britannici e stranieri all’estero
L’arrivo di Margaret Thatcher alla guida del governo del Regno Unito coincise con un periodo di riorganizzazione dei BBC External Services (ora World Service), braccio operativo del soft power mediatico del Foreign and Commonwealth Office britannico. Il governo dovette, infatti, scegliere dove concentrare i propri sforzi per sfruttare al meglio le trasmissioni televisive in lingua inglese e i contatti con la stampa estera. Tra vecchi e nuovi scenari ed equilibri globali, l’estremo oriente fu privilegiato al continente africano, come dimostrato dall’incremento del dialogo politico e tecnico, ai più alti livelli, con la Repubblica Popolare Cinese nel biennio 1985-86.
Barbara Onnis: Il soft power con ‘caratteristiche cinesi’ quale strumento di accrescimento del potere globale della Cina
La diplomazia culturale costituisce da tempo uno degli strumenti privilegiati del governo comunista cinese per accompagnare e collegare la forza del successo economico con la promozione dell’immagine di un Paese responsabile impegnato in uno sviluppo pacifico, rispettoso dello status quo e disposto a cooperare nella gestione della governance internazionale, in linea con una chiara indicazione politica già espressa da Hu Jintao e rilanciata nel 2014 da Xi Jinping come esigenza di “produrre un bella narrativa della Cina (jianghaozhongguogushi) e spiegare meglio il messaggio della Cina al mondo”, nel tentativo di plasmare il discorso globale e generare consenso rispetto a valori, idee e a una visione del mondo che sostiene i propri interessi nazionali.
Obiettivo del presente intervento è analizzare l’interpretazione che Pechino dà del soft power (ruanshili) – è nota la tendenza della Cina a trasformare ideologie e concetti provenienti dall’esterno per adattarli alle specificità della realtà cinese – al fine di comprendere metodi e strumenti che hanno consentito al Paese di accumulare una grande influenza su scala mondiale nell’arco di pochi lustri. Quando si parla della capacità attrattiva esercitata dalla Cina in specifici contesti, o dell’accresciuta influenza cinese nel mondo, il riferimento è soprattutto ai successi ottenuti in ambito economico, condensati in quello che è stato definito da alcuni Beijing Consensus (Beijing gongshi) o “Modello Cina” (Zhongguomoshi).
Francesca Congiu e Nicola Tedesco: L’espansione globale dei mezzi di comunicazione della Repubblica Popolare Cinese. Il caso Kenya
Il significativo aumento della presenza internazionale dei mezzi di comunicazione della Repubblica Popolare, compreso il contesto africano, rientra in un progressivo processo di affinamento e potenziamento delle tecniche di soft power. Il principale obiettivo si rintraccia non solo nella vasta letteratura riservata al soft power e alla Cina ma anche in una lettura attenta del pensiero di Antonio Gramsci che già definiva l’egemonia a livello internazionale, fatte salve la forza economica e militare, come la capacità del paese interessato di costruire un’immagine di sé in grado di andare oltre i propri ristretti interessi nazionali e di saper rappresentare, agli occhi degli altri stati ad essa subalterni, interessi condivisibili. Per il suddetto obiettivo, il controllo dell’informazione internazionale rappresenta necessariamente un fattore chiave.
Il paper si concentrerà sul caso Kenya durante la leadership di Xi Jinping (2012 -). Dopo aver delineato un quadro esaustivo degli interessi nazionali cinesi in Kenya, in particolare lungo l’arco di tempo sotto analisi e nell’ambito del progetto della Nuova Via della Seta, il paper si occuperà di evidenziare per quali ragioni, in quali modi e con quali effetti è stato posto in essere un processo di espansione dei mezzi di comunicazione della RPC in Kenya. A tal fine si utilizzeranno sia fonti ufficiali interne (come la produzione di direttive politiche e legislativa inerente la regolamentazione della propaganda internazionale) sia fonti giornalistiche interne e esterne.
Il Kenya è un luogo particolarmente significativo per la presenza di sedi locali dei principali mezzi di comunicazione ufficiali cinesi quali il China Daily, Xinhua o CCTV. Attraverso un’analisi di alcuni testi mediante l’uso di tecniche di text mining, si intenderà mettere in evidenza le differenti prospettive che le fonti locali keniane e le fonti locali cinesi hanno su medesime questioni (come per esempio la costruzione della ferrovia Nairobi – Mombasa). Ciò consentirà una riflessione finale sull’attuale difficoltà della Cina di costruire un’opinione pubblica keniana pronta a far propria la visione cinese del mondo.
Alessandro Uras: Soft power e nuovi media. Nazionalismo e patriottismo(propaganda) nella creazione di una identità marittima cinese
L’obiettivo di questo intervento è analizzare la retorica nazionalista creata dall’élite politica cinese attorno alla questione del Mar Cinese Meridionale, e riflettere su come tale narrazione abbia contribuito alla creazione di un presunto legame collettivo tra la popolazione e il mare. Partendo da questo presupposto verrà delineata la progressiva politicizzazione di determinate notizie e narrazioni incentrate sul mare, la securizzazione di specifici prodotti culturali emersi nell’ultimo ventennio, e come questi abbiano permesso la riconfigurazione del Mar Cinese Meridionale come effettiva parte del territorio nazionale cinese.
Nel 2005 il governo cinese ha istituito la “giornata del mare” per commemorare il seicentesimo anniversario della prima spedizione marittima di Zheng He. Il mito creatosi attorno alla sua figura, stimata e riverita in tutta l’Asia Sudorientale, ha permesso a Pechino sia di rassicurare i vicini stati rivieraschi circa la propria postura nel Mar Cinese Meridionale, sia di riorientare progressivamente parte della società civile verso le questioni marittime e creare così un senso di appartenenza. Per questo motivo sono stati prodotti documenti, articoli, materiale audiovisivo finalizzato a ribadire tale narrazione. In questo senso, nel momento in cui le élite governative riescono a manipolare identità e cultura, il soft power non è più solo indirizzato all’esterno ma anche all’arena domestica. Grazie alle giuste rappresentazioni e manipolazioni, questo processo ha la finalità di creare una maggiore consapevolezza sul ruolo marittimo della Cina e giustificare le proprie rivendicazioni territoriali.
Note curriculari dei partecipanti
- Christian Rossi, professore associato di Storia delle Relazioni Internazionali presso il Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali, Università degli Studi di Cagliari, ove insegna Storia dell’Integrazione Europea (Corso di Laurea in Scienze Politiche) ed European Integration (Corso di Laurea Magistrale in Relazioni Internazionali). Dal 2018 è Vice Direttore del Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali e dal 2015 Referente Erasmus. I suoi interessi di ricerca abbracciano la storia dell’integrazione europea, la politica estera britannica e la politica degli Stati Uniti nell’area del Mediterraneo. Autore di numerose pubblicazioni in italiano e in inglese.
- Sofia Graziani, ricercatore a tempo determinato b) di Lingua e Cultura della Cina, presso il Dipartimento di Lettere e Filosofia, Università degli Studi di Trento. È autrice di numerose pubblicazioni, alcune anche in lingua cinese. Tra i suoi principali interessi di ricerca: storia del movimento giovanile comunista cinese; relazioni fra Italia e Cina negli anni della Guerra Fredda; il ruolo dei giovani nella diplomazia pubblica (e nella creazione del soft power) della RPC; le politiche cinesi di soft power, con particolare riferimento al ruolo del volontariato giovanile nella strategia cinese in Africa.
- Alessio Zuddas, dottorando in Storia, Beni culturali e Studi Internazionali – percorso: Studi d’Area e Relazioni Internazionali – presso l’Università degli Studi di Cagliari, con un progetto dal titolo: Il “constructive engagement” del Regno Unito nell’Africa australe. La politica britannica nei rapporti con il Sudafrica al tempo dell’Apartheid (1979– 1990).
- Barbara Onnis, professore associato in Storia e Istituzioni dell’Asia presso il Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali, Università degli Studi di Cagliari, dove insegna Contemporary China e Lingua Cinese II.Dal 2017 è coordinatore del Corso di Laurea Magistrale in Relazioni Internazionali e dal 2016 referente scientifico dell’Aula Confucio dell’Università degli Studi di Cagliari. I suoi interessi di ricerca spaziano dalla strategia usata dalla Cina negli ultimi decenni per tentare di recuperare il terreno perduto nell’ambito delle relazioni internazionali durante il cosiddetto ‘secolo di vergogna e umiliazione’; all’elaborazione di un soft power con caratteristiche cinesi e la conseguente nascita di un “modello Cina”; al dibattito accademico e intellettuale relativo al ruolo che una Cina in crescita dovrebbe giocare sulla scena internazionale, con particolare riferimento alla continua valenza della tradizionale dottrina della non-interferenza e all’opportunità di adottare o meno un nuovo approccio più pro-attivo. È autrice di numerose pubblicazioni in italiano e in inglese.
- Francesca Congiu, attualmente professore a contratto presso l’Università Statale di Milano dove insegna Storia dell’Asia, Istituzioni e Processi Politici in Cina e History and Politics of the Far East. Presso l’Università degli Studi di Cagliari si occupa invece della programmazione e organizzazione dell’attività didattica e seminariale dell’Aula Confucio e fa parte del Direttivo del Gramsci Lab (Centro Interdipartimentale di Studi Internazionali Gramsciani). Francesca Congiu ha un dottorato in Storia e Istituzioni dell’Asia e dell’Africa moderna e contemporanea (Università degli Studi di Cagliari) e un Master of Science in Asian Politics (SOAS – Università di Londra). I suoi interessi di ricerca spaziano dalle relazioni stato-società nella Cina continentale e a Taiwan, con particolare riferimento alle relazioni stato-capitale-lavoro, alle relazioni Stati Uniti – Repubblica Popolare Cinese.
- Nicola Tedesco, professore Ordinario di Statistica Sociale presso il Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali, Università degli Studi di Cagliari, ove insegna Statistica e Metodi Statistici per la Valutazione. Dal 2005 al 2009 è stato Associated Editor della rivista SMA (Statistical Methods and Applications). I suoi principali interessi di ricerca sono rivolti: all’applicazione di tecniche di analisi multivariata (modelli di interdipendenza log-lineari e di dipendenza logit per variabili categoriali, modelli di sopravvivenza e a modelli multilivello qualitativi e quantitativi) all’analisi di fenomeni sociali e sanitari utilizzando; alla valutazione di performance in ambito universitario mediante modelli di segmentazione e multilivello e di transizione università-lavoro; all’applicazione dei latent class models per la scalabilità degli item (Mokken Analysis); allo studio delle determinanti della longevità attraverso l’uso di modelli innovativi (Quantile Regression); all’inserimento nel mercato del lavoro degli immigrati.
- Alessandro Uras, dottore di ricerca in Storia, Istituzioni e Relazioni internazionali dell’Asia e dell’Africa moderna e contemporanea, è attualmente cultore della materia presso la cattedra di Storia e Istituzioni dell’Asia, Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali, Università degli Studi di Cagliari. I suoi principali interessi di ricerca spaziano dall’analisi delle dispute marittime in Asia orientale all’evoluzione del regionalismo nell’area. Attualmente la sua ricerca si focalizza sull’analisi di nazionalismo e patriottismo marittimo in Cina.