Panel 12 – L’UE dopo la guerra fredda. Regime migratorio, stabilizzazione dei Balcani, Onu e diritti umani nella definizione dell’Unione europea attore internazionale post-bipolare.

Presidente: Daniele Pasquinucci, Università di Siena.

Discussant: Giuliano Garavini, New York University Abu Dhabi.

Relatori:

  • Simone Paoli, Università di Pisa, L’Unione europea e la creazione di un nuovo regime migratorio nel decennio della transizione post-bipolare (1985-1997);
  • Benedetto Zaccaria, Università Ca’ Foscari, Venezia, La Cee/Ue e le crisi jugoslave: le ragioni di una presenza;
  • Elena Calandri, Università di Padova, UE, ONU e diritti umani’

Abstract

Dall’Atto Unico (1986) al Trattato di Lisbona (2007), l’azione internazionale comune ha occupato uno spazio inedito nel processo di integrazione europea. Iniziative politiche dirette a varie aree geografiche e ambiti tematici diversi hanno irrobustito il profilo internazionale dell’UE, mentre dal punto di vista organizzativo e istituzionale il processo, iniziato con uno sforzo di coordinamento e di rafforzamento che enfatizzava il ruolo della Commissione, attraverso i compromessi di Maastricht (1992) e di Amsterdam (1997), è approdato nel Trattato costituzionale a una barocca (con)divisione di responsabilità e competenze fra Direzioni specializzate della Commissione e attori intergovernativi a loro volta multipli.

Questa parabola ha ricevuto molta attenzione da parte di politologi e giuristi, di recente propensi a collaborazioni interdisciplinari. Gli storici, per logiche di disciplina meno pronti a reagire, hanno confermato la tradizionale attenzione per gli sviluppi istituzionali e organizzativi, incoraggiata dall’oggettiva centralità del dibattito su competenze, ruoli e poteri che ha accompagnato e spesso condizionato lo sviluppo della politica estera comune. La concentrazione sull’aspetto istituzionale, però, rischia, come già in passato, di lasciare in ombra i contenuti concreti, oltre a ignorare il contesto internazionale in un ventennio in continuo e profondo mutamento.

I principali mutamenti sono stati, ovviamente, la scomparsa dell’ideologia e del blocco geopolitico che facevano capo alla Mosca sovietica e la fine del bipolarismo, elementi di potente legittimazione del processo di integrazione europea e dell’azione internazionale comune, che avevano però secondo molti consentito alla UE soltanto un ruolo internazionale subalterno e selettivo. Poiché, tuttavia, essa non era mai stata solo espressione della guerra fredda, in quanto, in particolare, la distensione e il contesto post-coloniale avevano dato occasioni di sviluppi originali, negli anni Novanta tendenze, obiettivi e tematiche emersi prima del 1989 vissero le opportunità e le difficoltà della rottura dell’ordine bipolare. Soprattutto la fluidità post-bipolare doveva permettere di avviare politiche e ruoli interamente nuovi, che apparivano a molti a portata di mano.

Il panel si pone il compito di mettere in relazione gli equivoci e instabili accordi raggiunti a Maastricht e Amsterdam e le politiche e azioni concrete a cavallo fra anni Ottanta e Novanta con il contesto in cui erano inseriti e rivalutare come i protagonisti della politica estera europea vollero definire il profilo internazionale dell’UE, avendo chiara la necessità di(ri)legittimazione sia interna che esterna. A questo scopo, esso individua tre campi d’indagine: l’esercizio di un ruolo di stabilizzazione politica e di controllo dell’ordine internazionale e europeo attraverso il caso dei Balcani, il rafforzamento del ruolo globale dell’UE e della definizione di valori universali con la presenza all’Onu e il sostegno ai diritti umani, la definizione di concetti di cittadinanza e un regime migratorio collegato allo sviluppo del regionalismo europeo.

Il panel indica la necessità di una nuova interpretazione dell’azione esterna dell’UE nel mondo del dopo guerra fredda che esamini criticamente i fattori di continuità/discontinuità con il periodo pre-1989 e gli elementi di riuscita e tensione fra i diversi piani di azione internazionale, facendo luce su strategie, obiettivi e argomenti di legittimazione tesi a fare dell’UE un attore internazionale nel sistema post-bipolare, e le difficoltà e le contraddizioni che ne derivarono.


Interventi

Simone Paoli: L’Unione europea e la creazione di un nuovo regime migratorio nel decennio della transizione post-bipolare (1985-1997).

L’intervento affronta il contributo offerto dalla Comunità (CE) e, poi, dall’Unione Europea (UE) alla definizione di un nuovo regime migratorio europeo a cavallo tra la metà degli anni Ottanta e la fine degli anni Novanta. Basandosi su fonti primarie raccolte presso gli archivi delle principali organizzazioni internazionali europee e, in particolare, delle istituzioni comunitarie, oltre che presso gli archivi nazionali francesi, la relazione analizza i concetti, le strategie e gli strumenti attraverso i quali, prima in un contesto intergovernativo e poi in un ambito più compiutamente comunitario, la CE/UE provarono a realizzare una politica migratoria capace di rispondere alle nuove sfide che provenivano dai cambiamenti in atto nel Mediterraneo Meridionale e, in seguito, nell’Europa Centro-Orientale. Centrali, nell’analisi, saranno i paradigmi di continuità/discontinuità e di legittimazione interna/legittimazione esterna. Si tratterà, in primo luogo, di capire come e in che misura il crollo dei regimi comunisti e la fine dell’ordine bipolare influenzarono un processo che, in realtà, aveva già preso avvio alla metà degli anni Ottanta. Si tratterà, in secondo luogo, di spiegare le tensioni e i difficili tentativi di conciliazione tra due obiettivi apparentemente opposti: la necessità politica di mantenere la coesione interna e rassicurare un’opinione pubblica europea sempre più preoccupata dalla crescita e dalla diversificazione dei flussi migratori in entrata e la volontà, distintamente articolata, di non lanciare messaggi di chiusura a aree geografiche strategiche per la proiezione esterna della CE/UE e dei loro membri.

Benedetto Zaccaria: La Cee/Ue e le crisi jugoslave: le ragioni di una presenza.

La crisi jugoslava ha rappresentato una delle principali sfide internazionali affrontate dalla CEE/UE negli anni Novanta. Il presente studio, basato su fonti primarie di recente declassificazione provenienti dagli Archivi storici dell’Unione europea di Firenze e dagli Archivi storici della Commissione europea di Bruxelles, illustra il ruolo giocato dalla CEE/UE in tale ambito. L’obiettivo è di far luce le ragioni del coinvolgimento comunitario nella crisi jugoslava alla luce delle trasformazioni del dopo-guerra fredda. L’attenzione è posta sui motivi di continuità dell’azione esterna della Comunità nello scenario jugoslavo nella transizione tra il periodo bipolare e il dopo-guerra fredda; sui fattori di legittimità politica ed economica – legati all’obiettivo di stabilità politica della regione balcanica – che fecero della Cee il principale attore internazionale coinvolto nella mediazione del conflitto jugoslavo tra il 1990 e il 1991; sui limiti di tale intervento e sulla narrazione di quest’ultimo nel discorso politico accademico. L’obiettivo è quello di superare l’interpretazione prevalente che ha visto il coinvolgimento comunitario nella crisi jugoslava come un fallito “esperimento” di Politica estera di sicurezza comune nell’Europa del dopo-guerra fredda, ed il successivo coinvolgimento nelle dinamiche economiche e politiche dei Balcani occidentali, fino al lancio della Politica di stabilizzazione e associazione (1999), come una “redenzione” a tale fallimento.

Elena Calandri: UE, ONU e diritti umani.

I diritti umani hanno assunto un ruolo importante nel discorso pubblico e nelle preoccupazioni ideologiche dell’UE degli anni ’90, in discontinuità con i decenni precedenti: la tutela dei diritti umani era comparsa nella sfera comunitaria nei tardi anni ‘60 solo come impegno interno e anche durante la successiva “rivoluzione dei diritti umani” la CE aveva limitato le prese di posizione esterne in merito all’ambito della CSCE, pur esigendone il rispetto dai candidati all’adesione. Da Maastricht la tutela dei diritti umani entrò nei trattati fondativi e nei documenti fondamentali, nelle conclusioni del Consiglio europeo e nei programmi delle presidenze di turno, nei negoziati con stati terzi, gruppi e organizzazioni internazionali e attori non governativi. Sulla base della documentazione degli Archivi storici dell’UE, fra cui le carte di Angel Viñas, il paper osserva come la posizione dell’UE in materia di diritti umani venne sviluppata in stretta collaborazione con le Nazioni Unite, guardando alla collaborazione UE-ONU come a uno strumento di reciproca legittimazione e anche nella ricerca di un upgrade della posizione dell’UE di semplice osservatore. Dotata di forte valore identitario e ideologico, la posizione in materia di diritti umani esprimeva un umanitarismo civile peculiare della civiltà europea, a cui si voleva attribuire valenza universale; ma questa visione universalistica dei valori e dei compiti dell’UE strideva con l’idea, e la pratica, di un’UE organizzazione di stati portatori di interessi e valori specifici, oltre a scontrarsi con il rifiuto di tale pretesa normativa da parte di altri paesi, fino a determinare un elemento di debolezza della posizione internazionale dell’UE nel sistema post-bipolare.


Note biografiche dei partecipanti

  • Daniele Pasquinucci è professore ordinario di Storia delle relazioni internazionali presso il Dipartimento di Scienze sociali, politiche e cognitive dell’Università di Siena e Cattedra Jean Monnet in Storia dell’integrazione europea. Dal 2007 al 2012 è stato Segretario generale dell’Associazione universitaria di studi europei. Tra le sue pubblicazioni: (a cura di, con Mark Gilbert) Euroscepticisms: The Historical roots of a political challenge, Leiden, Brill, in corso di pubblicazione (2019); (a cura di, con Lorenzo Mechi), Integrazione europea e trasformazioni socio-economiche. Dagli anni Settanta a oggi, Milano, FrancoAngeli, 2017; The Historical Origins of Italian Euroscepticism, in “Journal of European Integration History”, vol. 22, n. 2, 2016;(a cura di, con Luca Verzichelli), Contro l’Europa? I diversi scetticismi verso l’integrazione europea, Bologna, il Mulino, 2016; Euroscepticisme et abstensionnisme lors des élections européennes en Italie (1979-2014), in Martial Libera, Sylvain Schirmann e Birte Wassenberg (eds), Abstensionnisme, euroscepticisme et anti-européisme dans les élections européennes de 1979 à nos jours, Stuttgart, Franz Steiner Verlag, 2016; (a cura di, con Daniela Preda e Luciano Tosi),Communicating Europe: Journals and European Integration 1939-1979, Berna, PIE Peter Lang, 2013;Uniti dal voto? Storia delle elezioni europee 1948-2009, Milano, FrancoAngeli, 2013
  • Giuliano Garavini attualmente è Senior Research Fellow in the Humanities ad NYU Abu Dhabi.  Si è interessato prevalentemente di storia dell’integrazione europea, di decolonizzazione e di storia dell’energia e del petrolio. E’ autore tra l’altro di “After Empires: European Integration, Decolonization and the Challenge from the Global South” (Oxford University Press, 2012), e ha recentemente curato assieme ad altri colleghi “Oil Shock. The 1973 Crisis and its Economic Legacy” (IB Tauris, 2016), e “Counter-Shock. The Oil Counter-Revolution of the 1980s” (IB Tauris, 2018). Il suo ultimo libro, “The Rise and Fall of OPEC in the Twentieth Century”, uscirà a Luglio per Oxford University Press.
  • Simone Paoli è ricercatore in Storia delle Relazioni Internazionali presso il Dipartimento di Scienze Politiche dell’Università di Pisa; in questo semestre (1-6/2019) è inoltre visiting researcher e visiting professor presso il Centre d’Histoire de Sciences Po a Parigi. Esperto di storia europea del secondo dopoguerra, ha approfondito prevalentemente le dinamiche socioculturali, educative e migratorie legate al processo di integrazione comunitaria e allo sviluppo delle relazioni euromediterranee. E’ autore di “Il sogno di Erasmo. La questione educativa nel processo di integrazione europea” (Milano, FrancoAngeli, 2010) e di “Frontiera Sud. L’Italia e la nascita dell’Europa di Schengen” (Milano, Mondadori Education, 2018). Ha inoltre curato (insieme a Carla Meneguzzi Rostagni, Francesco Petrini e Massimiliano Trentin) “Politica di potenza e cooperazione. L’organizzazione internazionale dal Congresso di Vienna alla globalizzazione” (Padova, Cedam, 2013), (insieme a Elena Calandri e Antonio Varsori) “Peoples and Borders. Seventy Years of Migration in Europe, to Europe, from Europe (1945-2015)” (Baden-Baden, Nomos Verlagsgesellschaft, 2017) e (insieme a Beatrice Scutaru) “Child Migration and Biopolitics. Old and New Experiences in Europe” (London, Routledge, 2020). Ha inoltre curato (insieme a Elena Calandri) un numero monografico del Journal of European Integration History intitolato “Europe and the Mediterranean in the long 1980s” (N. 1, 2015).
  • Benedetto Zaccaria è attualmente assegnista di ricerca presso il Dipartimento di Studi Linguistici e Culturali Comparati dell’Università Ca’ Foscari di Venezia nell’ambito del progetto PRIN 2015“The Making of the Washington consensus: debts, assets, and power 1979-1991”. In precedenza, è stato research associate presso l’Istituto Universitario Europeo di Firenze (2015-2019) come membro dei progetti di ricerca ERC PanEur1970s – Looking West: the European Socialist regimes facing pan-European cooperation and the European Community (2017-2019) e HistCom3 – The European Commission 1986-2000 finanziato dall’Unione Europea (2015-2017).I suoi interessi di ricerca riguardano la storia della Guerra Fredda e dell’integrazione europea, con particolare riguardo all’Europa centro-orientale e alla Jugoslavia socialista. Fra le sue pubblicazioni: La Strada per Osimo. Italia e Jugoslavia allo specchio (1965-1975) (Milano, Franco Angeli, 2018); The EEC’s Yugoslav Policy in Cold War Europe, 1968-1980 (London, Palgrave Macmillan, 2016) e con Antonio Varsori (a cura di), Italy in the International System from détente to the End of the Cold War: The Underrated Ally (London, Palgrave Macmillan, 2018).
  • Elena Calandri è professore associato di Storia delle relazioni internazionali all’Università di Padova, membro del Comitato scientifico per la pubblicazione dei documenti diplomatici italiani del Ministero degli Esteri, del EU-Committee of Historians e del comitato editoriale della rivista Journal of European Integration History. I suoi interessi di ricerca riguardano la storia internazionale post-1945, l’integrazione europea, la Turchia contemporanea, la politica estera italiana. Fra le pubblicazioni: Il Mediterraneo e la difesa dell’Occidente 1947-1956: eredità coloniali e logiche di guerra fredda, Firenze, 1997; Prima della globalizzazione. L’Italia, la cooperazione allo sviluppo e la guerra fredda, Padova, 2013; le curatele Il primato sfuggente. L’Europa e l’intervento per lo sviluppo 1957-2007, Milano, 2009; e in collaborazione Détente in Cold War Europe. Politics and Diplomacy in the Mediterranean and the Middle East, London, 2016; The Mediterranean in the Long 1980s, JEIH 2015/1; Peoples and Borders. Seventy Years of Movement of persons in Europe, to Europe, from Europe 1945-2015, JEIH 2017; di recente “Italy, the Developing World and Aid Policy, 1969-1979: the “Historic Compromise” and Italian foreign policy”, Cold War History, 2-2019; “Italia e “Terzo Mondo”: un rapporto irrisolto, un campo di studi in costruzione”, Rivista italiana di Storia internazionale, 2018/2.